Francesca ha scelto di accompagnare questo testo al brano:
Arrival of the birds & Transformation della Cinematic Orchestra
Ti consiglio dunque di leggerlo con questa colonna sonora, sarà ancora più magico.
“Il treno era in orario.
La stazione di Roma era piena di gente, mi ritrovai subito sotto il tabellone delle partenze. Freccia rossa 9642 diretto a Firenze era arrivato al binario 2.
Non mi fermai nemmeno per leggere, correvo ero di fretta. Scansai le persone velocemente. Si sa, durante le feste di Natale le stazioni sono invivibili. Tutti corrono per un dove e per un chi.
Entrata, mi sedetti lato finestrino.
“Firenze è vicina a Roma”, pensai. Solo un’ora e poco più e sarei arrivata. Il vagone stranamente non era pieno. Il mio posto con seduta unica, sulla destra una famiglia, avrei detto irlandese, in viaggio per l’Italia. A sinistra, poco dopo di me, due signore con due grandi cappelli. Una ragazza che ascoltava la musica ed un ragazzo sul fondo che leggeva un libro. Il capo stazione fischiò, il treno partì.
Ero stanca, stanca di correre tra il lavoro presso lo studio di avvocato, correre per fare la spesa, correre per conciliare la mia vita da 25 enne tra famiglia, sport, amiche e corso di teatro. Sentivo che correvo e basta. La mia vita era diventata un correre per tappare costantemente buchi. Quando facevo qualcosa, mi sentivo in orario e puntuale con la mia tabella di marcia. Ma non mi sentivo li. Con mia sorella, in camera sua, mentre mi raccontava del ragazzo che gli piaceva. Al compleanno dei 70 anni di mia nonna. Quando mia madre mi chiedeva di aiutarla a fare il bucato. Quando mia cugina mi raccontava del lavoro. Quando a teatro provavo nuovi pezzi, magari mi riuscivano pure ma non li sentivo veramente. Quando uscivo a cena con le mie amiche sentivo solo tante voci intorno a me ma non ascoltavo veramente. La cosa più assurda era che la mia sensibilità era talmente diminuita che non capivo mai il vero perché non stessi bene con me stessa. “Chi troppo vuole, nulla stringe”, mi ripeteva spesso mia nonna. Ma nulla da fare, io mi sentivo invincibile.
Tali considerazioni sulla mia vita non le feci li sul treno, o meglio non all’inizio del viaggio. Ero ancora avvolta dalla nuvola di super eroismo che faceva da parete insonorizzata al mio cuore. Ero stanca è vero e sentivo di esserlo. Li per li pensai alla stanchezza fisica. Mi voltai verso il finestrino.
Il sole tramontava. Voltandomi all’indietro per vedere meglio l’orizzonte, la mia attenzione ricadde sul bracciolo del sedile. Li era rimasta incastrata una lettera con una scritta, “Per Te”.
Incuriosita, dubbiosa ed incredula restai fissa a guardare la busta. La sensazione era la stessa di aver trovato un messaggio dentro una bottiglia in riva al mare. L’unica differenza è che in quell’occasione avrei avuto la certezza si trattasse di una lettera o quanto meno di un messaggio. Nel mio caso non potevo sapere a priori il contenuto di quella busta. Mi guardai attorno più e più volte. Cercavo il proprietario, qualcuno a cui potesse appartenere. Presa dalla curiosità mi decisi e aprii. Ripiegata su stessa, una lettera, senza un emittente né un destinatario. Nessuna data, nessun luogo. Avrei scommesso calligrafia da uomo. Forse una lettera di un padre ad una figlia, forse una lettera d’amore, chissà.
“ Sto partendo e sta volta il viaggio sarà lungo, me lo sento.
Allora mi ritrovo qui in questa sala d’attesa e ti penso e penso a noi e penso soprattutto alla voracità del tempo. Ti scrivo questa lettera affinché un giorno tu la possa rileggere e rallegrare il tuo cuore. Vedi figlia mia io anche se parlo poco, osservo tanto ed in questi ultimi mesi mi sono reso conto di quanto tu mi sia stata vicina. Peccato che la mia malattia mi abbia impedito di gioirne a pieno del tempo insieme. Ma la verità è che non mi faceva stare bene vederti correre da una parte all’altra pur di conciliare la tua vita professionale da avvocato, da mamma tuttofare, da moglie, da amica, da insegnante di yoga, e da figlia che doveva pensare ad un padre malato. Ma sai io avrei voluto godere del tempo insieme quando stavo bene anche io.
Questo non vuole essere un rimprovero né un rinfacciarti nulla perché in questi mesi ho riflettuto quanto anche io ero totalmente preso dalla mia carriera di chirurgo che mi ha portato a dimenticarmi spesso delle mie priorità. Stare di più con la mia famiglia, ascoltare tua madre quando mi parlava dei suoi problemi al lavoro senza pensare a quanti interventi avrei avuto io il giorno dopo. I tuoi saggi di danza e i concerti di pianoforte di tuo fratello sempre al telefono e mai davvero connesso con mente e cuore.
In questi mesi ho riflettuto tanto ed è come se ho visto il film della mia vita e solo prima di arrivare ai titoli di coda ho capito che la vita è più bella quando la condividi a pieno con le persone che ami. Non riuscirai mai a fare tutto, non siamo invincibili ne tanto meno immortali. Stiamo solo vivendo in una società che ogni giorno ci insegna a vivere di connessioni e condivisioni apparenti. Ci stanno de-sensibilizzando, allora prima di arrivare a destinazione voglio dirti vivi a pieno ogni momento della tua vita. Nelle gioie e nei dolori, ascolta le persone che ti sono vicine e goditi a pieno i momenti che coloreranno la tua vita. E quando senti che la routine del quotidiano ti sta risucchiando verso questa non consapevolezza ricordati che ogni traguardo sarà bello se condiviso con qualcuno. Dedicati alle persone che ami ed impara ad assaporare i sapori che ti regalerà ogni attimo condiviso. Ti dico un trucco, quei momenti li riconoscerai perché se vissuti a pieno ti sentirai nel posto più bello del mondo. Sentirai che in quei momenti forse ti scorderai di ciò che in quel momento ti preoccupa tanto e solo parlando capirai che insieme tutto si risolve. Ognuno di noi dovrebbe avere una guida spirituale che gli indichi il cammino. Allora quando avrai voglia, passeggia all’aria aperta in un parco e ascolta il vento tra le foglie, guardati intorno e nota un dettaglio a cui prima non avevi dato importanza e poi condividilo con chi vorrai. Quando farai qualcosa per qualcuno, mettendoci tutto il cuore, li capirai il segreto della vita.
Le piccole cose sono la vera poesia della vita. Solo averne la consapevolezza ti renderà davvero libera e felice. Con affetto Papà”.
Finire quella lettera non fu semplice. Sbam una pallottola si era conficcata nel mio cuore. E’ come se avessi rivisto la mia vita tra le righe di quella lettera. Poteva essere quello un assurdo caso del destino? Ero a tratti impaurita e mi presero sensi di colpa ma non potevo scappare nel vittimismo perché quelle parole volevano dirmi qualcosa. Forse che stavo scappando continuamente, cercando di essere ovunque e con tutti ma in realtà da nessuna parte e con nessuno veramente.
Quella doccia gelata di parole mi aveva rimesso al mondo. Me la misi in borsa avvolta da un senso di gratitudine e di dispiacere perché sentivo il dovere di consegnarla al destinatario.
Ma data l’impossibilità nel compiere la missione pensai che piuttosto era bene tenerla per rileggerla all’occorrenza. Forse era proprio il destino che voleva parlarmi.
Spaesata mi ritrovai fuori dalla stazione di Firenze. Annullai l’appuntamento di lavoro e mi diressi verso i giardini di Boboli. Avvertii una mia cara amica d’infanzia che abitava li vicino. Una camminata all’aria aperta sarebbe stato il posto migliore per imparare a ricominciare e diventare più consapevole della condivisione, quella vera. E ricominciare a vivere.”
di Francesca Berardi