“Questa è città è dannatamente bella” pensai. Guardavo Roma dal finestrino con aria sognante e mi sentivo come dentro un film. Una frenata brusca dell’autobus mi riportò alla realtà: ero in ritardo. Scesi velocemente dall’autobus. Sentivo l’adrenalina crescere ad ogni passo: era il grande giorno. Stavo per incontrare un cliente importante, un pezzo grosso: erano mesi che bramavo una promozione e quell’incontro era la mia occasione.
Iniziai a correre. Mi inoltrai in una via a caso sperando di ricordarmi la strada. Con il tipico ed incosciente ottimismo dei ritardatari continuavo a ripetermi che ce l’avrei fatta, che sarei riuscita ad arrivare in tempo. Correvo all’impazzata e la gente per strada mi guardava incuriosita, forse chiedendosi quale fosse il motivo talmente importante in grado di farmi correre in quel modo.
Me lo chiesi anche io. Qual’ era il motivo? Da mesi correvo dietro a quella promozione. La verità è che dovevo a tutti costi dimostrare a me stessa di potercela fare. Lo facevo da sempre: ero sempre alla ricerca di qualcosa da raggiungere per affermarmi, per poter dire di essere qualcuno. La laurea, un concorso, una promozione: ogni volta non era mai abbastanza, ogni volta raggiunto un obiettivo ne trovavo un altro e lo inseguivo con altrettanto affanno. A volte mi sembrava di correre e non arrivare mai. Mi sembrava di inseguire la vita e quando pensavo di averla raggiunta, afferrata, capita, lei invece era già ripartita.
Mi chiesi dov’ero io in tutto questo. Mi chiesi se potevo dire di conoscere davvero quella persona che guardavo ogni mattina allo specchio. Mi chiesi se mi fossi mai fermata ad ascoltare la mia voce, quella vera, quella profonda. La voce dei i desideri, quella che ti sussurra piano cosa vuoi veramente e per ascoltarla devi fermarti un attimo e abbassare il rumore del mondo. Oltre i premi, gli attestati e riconoscimenti, chi ero io? La verità è che per essere qualcuno mi ero dimenticata di essere.
Successe tutto molto velocemente. Persa nei miei pensieri non mi ero accorta del gradino. Mi ritrovai a terra e sentii la sensazione dei sampietrini freddi sul viso.
“Tutto bene, signorina?” un anziano signore mi si avvicinò preoccupato tendendomi una mano.
“Benissimo, grazie!” dissi con finta convinzione mettendomi in piedi. Gli sorrisi forzatamente e lui se ne andò confuso. Mi rialzai in fretta, pronta a proseguire la mia corsa, ma un dolore alla caviglia mi costrinse a fermarmi. Mi appoggiai al muro e mi arresi.
Mi guardai intorno: ero in una piazza piuttosto piccola, al centro c’era una fontana. Non era maestosa né di una bellezza appariscente, ma possedeva una grazia speciale. La base era composta di conchiglie, mentre degli angeli sorreggevano la vasca contornata da piccole tartarughe. Sentivo nel silenzio il rumore dell’acqua che sgorgava veloce. Mi resi conto di non aver la più pallida idea di dove fossi, nonostante conoscessi piuttosto bene quella zona.
Improvvisamente un profumò mi rapì. Mi lasciai trasportare da quell’ odore inebriante e mille ricordi riaffiorarono nella mia mente. “Cornetti appena fatti” pensai sorridendo tra me e me. Il mio sguardò si posò sulla visuale della piazza. Vidi le persone affrettarsi per cominciare la loro giornata: mi divertii ad immaginare le loro vite, ipotizzare su dove fossero diretti e se ci fosse qualcuno ad aspettarli. Vidi un barbone avvicinarsi alla spazzatura alla ricerca della sua colazione. Una giovane ragazza con un passeggino mi passò accanto. Guardai al suo interno e incrociai lo sguardo di un bambino. Mi fissò intensamente, come solo i bambini sanno fare. Mi guardò fino in fondo senza paura, senza maschere, senza protezioni. Mi fissò con un’intensità tale che mi sentii come se mi potesse leggere dentro. Mi sentii come se quello sguardo mi stesse restituendo qualcosa che avevo perso.
Immaginai che il mio cliente fosse ormai andato via da un pezzo, ma non mi importava. Era una meravigliosa mattina di novembre. L’aria era frizzante e mi stuzzicava la pelle. Una luce dorata illuminava i palazzi rendendoli vivi e sensuali. Chiusi gli occhi e sentii il tepore caldo del sole sulla pelle. Mi ricordai di essere, e di esserci.
All’improvviso mi tornò in mente quella frase: “E’ il viaggio che conta, non la destinazione”. Respirai forte e l’aria fredda mi entrò nei polmoni. Mi sentii viva. “Buon viaggio” augurai a me stessa.
Marianna Marzano