
Docente Valentina Faloni, corso di Storytelling 2020
Lezioni di Grammatica narrativa
Le slide contengono un riepilogo sintetico sui seguenti argomenti:
Il Viaggio dell’eroe;
Gli Archetipi;
I Tipi psicologici;
I Capi saldi del racconto.
Buono studio!
Docente Valentina Faloni, corso di Storytelling 2020
Lezioni di Grammatica narrativa
Le slide contengono un riepilogo sintetico sui seguenti argomenti:
Il Viaggio dell’eroe;
Gli Archetipi;
I Tipi psicologici;
I Capi saldi del racconto.
Buono studio!
Ho avuto la fortuna di sentirmi dire no. Ho avuto la fortuna di chiedermi perché, e la sensazione che fosse possibile un cambiamento. Ho avuto la fortuna di misurare l’esistenza con la religione. Ho avuto la fortuna di avere la quotidianità spiegata attraverso l’istituzione, di avere regole e ‘maltollerati’ giudizi di valore. Ho avuto la fortuna di imparare attraverso la cultura, di misurarmi attraverso la creatività. Ho avuto la fortuna di crescere nei riti, di credere nelle persone, e nella natura. E poi ho avuto la fortuna di abitare il mio tempo e di sentirmi persa. Ho avuto la fortuna di capirne il perché. Ho avuto la fortuna che la caparbietà non mi abbandonasse mai nel voler trovare un senso, un ruolo, un posto, un’identità, una dimensione perduta e conquistata con l’ascolto, l’osservazione, lo studio, la riflessione, con la vita e ancora la ricerca.
Non mi sono rassegnata alla sensazione di non quadrare il cerchio e ho continuato a cercare risposte e a pormi domande. Ho capito che é importante nominare, per capire ed essere compresi. Ho capito che senza nome: non é, non c’é comprensione. Ma, senza nomi ci si riconosce lo stesso. Ho capito che c’é bisogno di un linguaggio, di un codice, di uno stile cognitivo a cui appartenere, in questo modo si può interpretare ed essere interpretati. Ho avuto la fortuna di dover tirare i fili e di dover capire. Finalmente mi é stato chiesto: chi sei, cosa hai fatto fin qui, cosa sei diventata? forse implicitamente per capire: dove stai andando?.
Ho avuto la fortuna di agire per essere e non per avere, e la fortuna di fare lo stesso nello scegliere le persone con cui condividere questo percorso, di badare all’essenza e l’anima, così facendo, mi sono resa forse il percorso più lungo e tortuoso. Mi sono misurata con la morte e ho capito di non essere eterna o almeno che il tempo che ci é dato da spendere in questa vita, non é infinito. In quel momento ho scelto di essere felice. Felicità per me significa conoscenza, intensa nel suo senso più nobile di sapienza. Felicità per me significa studio e ricerca. Felicità per me significa comprensione. Felicità per me significa equilibrio. Felicità per me significa lettura. Felicità per me significa interpretazione. Felicità per me significa consapevolezza. Felicità per me é un testo. Felicità per me é studio con impegno. Felicità é un buon maestro. Felicità sono un paio di occhiali nuovi per osservare meglio. Sono le idee, le intuizioni, i nuovi punti di vista, i simboli e la tradizione. Felicità significa pensiero critico. Felicità é quel fuoco che arde e non si spegne. Felicità è ritrovarsi e capire che ogni passo era in un unica vera direzione. Felicità è trovare le parole chiave. Serenità é per me sapersi muovere in uno spazio di significati. Possedere campi cognitivi e fare patti comunicativi.
Forse é per questo che oltre alla mania per i “testi” nell’accezione più ampia del termine nella sua dimensione comunicativa e culturale, ho una particolare attenzione per la superficie che accoglie i miei passi. Osservo “la terra” che ospiterà il mio cammino, sempre, che si tratti di una strada sterrata, di un prato, di un pavimento piastrellato. Mi piacciono le superfici che raccontano una storia. Il cammino che accoglie i miei passi deve narrare una tradizione, una cultura, un’arte. Passo dopo passo quella strada ci accompagna in un ambiente, uno spazio, ci accoglie.
Buona passeggiata.
Valentina Faloni
Cara Valentina,
è tempo che non ci vediamo, quanta vita tra noi due, quanta vita è stata, quanta vita c’è n’è, quanta ce ne sarà. Tutto è cambiato e faccio fatica a riconoscermi e a ritrovarmi. Tu come stai? Ogni volta che ci rincontriamo dopo lunghi periodi di vite trascorse lontane, io mi ritrovo con gli occhi di bimba e cerco di capire se c’è ancora quella che ero, se abbiamo rispettato i nostri sogni, se il mondo ci accolto così come volevamo essere o ci ha cambiato inevitabilmente senza chiedere il permesso.
La mia paura più grande, ogni giorno è quella di non tener fede a quella bambina, allo sguardo maturo e consapevole che c’era nonostante l’età, alla grinta, la tenacia, e la fantasia, unica altra interlocutrice dei nostri progetti.
Quella paura si scontra con il presente, che corre, corre, corre. Corre e la paura è quella di non capire dove va e di perdere il momento. Sembra che ci debba essere un momento giusto, inevitabilmente per tutti. E ci hanno convinto che deve essere il prima possibile, altrimenti tutto è perduto. Finalmente ho capito, ancora una volta, e me ne convinco che quel momento lo decidiamo noi.
Ho bisogno di ripercorre quei passi, perché è lì che voglio tornare, è l’unico modo per essere sincera sui miei propositi e rispettare una personalità che c’è, c’era e ci è stata donata dal giorno in cui abbiamo scelto di presentarci al mondo. Io ero già abbastanza infastidita, la placenta era infartata, dice mia mamma, piena di buchi, volevo uscire di lì e presentarmi al mondo ostinatamente. Le mie foto mostravano un ragnetto con i capelli lisci, folti e neri come il carbone, degli occhi grandi, aperti e profondi, e un’espressione incazzata. Tu forse eri placida, pelata e con gli occhi chiusi, pronti a brillare d’azzurro una volta pronti per il mondo, chiari come la tua pelle che è rimasta così candida da fare invidia a Biancaneve. Questo non lo so, come eri appena nata, mandami una foto se ne hai. La televisione mi disturba, la spengo. Questo computer continua ad impallarsi ma io continuo a scrivere e mi dico che è arrivato il momento di comprarne uno nuovo. Quanto mi piaceva scrivere con la penna, mi piace ancora, trovo che abbia qualcosa di magico, le parole prendono forma dai pensieri e sul foglio prendono forma con il loro carattere, grafico e rappresentativo di una personalità, non a caso, forse, si utilizza la stessa parola: carattere. Due significati diversi, due concetti diversi, con uno stesso significante, un po’ come noi, amiche inseparabili ma ormai separate da una vita, con uno stesso nome: Valentina.
Ti scrivo perché voglio raccontarti una storia, e so che mi pensi, e che spesso ti fermi anche tu per capire chi sei, dove stai andando, chi vorresti essere, e dove ti porteranno le tue scelte. Senza indugi, so che ti chiedi se c’è ancora quella bambina tenace e timida che rivendicava indipendenza da tutto e tutti, che leggeva e scriveva, e guardando Love Story desiderava un amore come quello ma con un lieto fine.
Valentina, forse è per che ti chiami come me, e perché le nostre vite si sono tenute per mano quando ancora il mondo serviva a cullare i nostri giochi e la verità del nostro essere era lì, fiera, senza temere il domani. Sei lo specchio della coscienza del passato e quella del presente. Di fronte a te io mi arrendo alla realtà e devo fare i conti con quello che è oggi. Le risposte alle mie domande sono lì, nelle parole dei nostri ricordi e in quelle del nostro presente. Allora ti racconto di quello che è stato dopo di noi e tu dimmi se mi riconosci ancora e se c’è qualcosa che ho dimenticato e che dovrei tenere a mente.
Ho studiato, studiato, studiato, studiato. Eppure non ricordo di essere mai stata così entusiasta della scuola quando ero bambina. I libri sì, quelli sì che mi piacevano, leggere, scrivere quello sempre. I libri li accarezzavo, li odoravo, li trattavo con affetto, come se custodissero una vita, una vita che diventava un po’ parte di me. È ancora così, quello non è cambiato affatto, anzi, semmai si è acutizzato nonostante la tecnologia abbia cambiato il nostro modo di fruire l’arte, e la cultura, io continuo a rimanere attratta dai libri. Quando entro in una libreria provo una sensazione che è un misto tra entusiasmo puro, che prende alle viscere, e un sentimento di sconfitta e frustrazione, perché subito dopo il primo sguardo curioso e frenetico sui libri esposti, dopo aver letto un paio di alette, e curiosato nei diversi settori: narrativa, psicologia, scienze sociali, letteratura, esoterismo, storia, saggistica.. realizzo ogni volta che non riuscirò mai a leggerli tutti! Infinite storie, parole, personaggi, teorie, rimarranno lì, fuori dalla mia vita che se ne vorrebbe nutrire. Ecco che allora scatta in me la ricerca del libro che mi sta aspettando. La mia mania per i libri, come oggetti, risposte, amici, maestri, si concretetizza con una spinta mistica dettata dalla convinzione che dovunque ci sono libri, ce n’è uno che è lì proprio per quel giorno, per quel momento della mia vita che è pronto a darmi risposte a domande che non ho ancora formulato ma alle quali ho bisogno di trovare una risposta. Quel consigliere rimane fermo lì, sono io che devo trovarlo, e portarlo via con me, pronta a ricevere la sua lezione, i suoi consigli nascosti fra le pagine. È un rapporto d’amore e sudditanza allo stesso tempo, davanti al libro giusto, che è lì e mi chiama, io vado, e solo con lui sono ogni volta una bambina ubbidiente, disposta all’ascolto, a credere e ricevere una lezione. È per questo che la mia scelta non è mai a caso, quel libro deve essere importante, non può deludermi è per questo che quando entro in una libreria io mi metto in ascolto, e sono sicura che, se riesco a sentire, quale tra quelli mi stia chiamando, sarà per me un insegnante, un mito, un eroe, un amico che vale la pena ascoltare. Forse è per questo rapporto speciale che ho con i libri che continuo a studiare, e a riempirne la mia casa, studiare diventa una scusa per avere un rapporto esclusivo con loro. Se devo studiare, o sto studiando, tutto il resto può aspettare, non c’è giornata di sole, sabato o domenica, o serate con gli amici che tengano. O forse perché quando entro in quell’universo tutto è possibile, o forse perché è l’unico momento in cui non penso, io non sono più io con tutto il mio vissuto, ma una tela bianca che si colora, pagina, dopo pagina, di vita nuova. O forse perché è il filo che mi riconduce a quella bambina che aveva deciso di imparare a leggere e scrivere prima di iniziare la scuola, perché era urgente. O no, non voglio parlare in terza persona, ormai negli ultimi anni, è una pratica in voga in televisione, riservata a personalità piene di sé e vuote di senso. Tutti, ma proprio tutti oggi credono di custodire delle importanti verità, tali da essere espresse al mondo tramite social network pronti a diffondere un verbo, nella maggior parte dei casi che non dice nulla. Sarà questo amore viscerale che ho per le parole a farmi avere un pensiero critico sul modo di comunicare che sta dilagando e mettendo radici. Sarà che nel pensiero altrui cerco risposte e il comunicare senza che un’anima possa essere letta, per me non ha senso alcuno, se non quello di mostrare un segno, uno scarabocchio, o quello di fare rumore e non musica, né armonia. Tutto questo mi fa rifugiare e scegliere di scrivere e continuare a comunicare solo quando sento realmente di aver qualcosa da dire e di leggere e lasciarmi investire dalle parole di chi sembra avere un mondo vero, fatto di ricerca ed equilibrio. Tutto questo mi fa sentire fuori dal tempo, fuori dai giochi, mi fa sentire di non c’entrare il cerchio, il trand, il brand, il social, il marketing, nonostante mi senta figlia del mio tempo. Eppure, sembra che il mio punto di vista su come tutto questo stia cambiando e cambia noi, lo riesca a capire prima degli altri e a volte meglio, sai? E allora ritrovo quel senso e mi rendo conto che vale la pena continuare a interrogarsi, a leggere il mondo non solo sulla carta ma attraverso le storie delle persone in società, la nostra e le altre culture per capire che infondo siamo tutti uguali e narriamo allo stesso modo, perché ci distinguiamo dagli animali perché sappiamo raccontare, scrivere, ricordare, creare, dare vita a mondi altri, perché abbiamo la fantasia e l’Altro ci cambia. E il cambiamento è uguale vita. E la condivisione è la stessa che provo quando sono a tu per tu con il mio libro, solo che in questo modo riesco allo stesso tempo ad essere a tu per tu con tanti. Forse è magico anche questo!
Valentina Faloni
Cari Storyteller,
nel nostro secondo incontro, ci siamo confrontati sull’importanza del punto di vista nella narrazione. Una storia, qualsiasi sia la forma di racconto che scegliamo per narrarla: l’oralità, la scrittura, l’immagine, la musica, o l’interazione tra tutte queste forme, esprimerà un punto di vista personale e quindi formulato in base alla propria cultura, i propri interessi e studi, il proprio vissuto.
Il racconto si fa voce del proprio autore o di ciò che il narratore vuole portare alla luce, così inevitabilmente quella storia parlerà di noi.
Esistono differenti forme di pensiero sulla creazione narrativa, alcuni affermano che è possibile scrivere anche di ciò che non si conosce, di paesi mai visitati, di sensazioni e situazioni mai vissute, studiando e approfondendo gli argomenti di cui si vuole trattare.
Io credo che non si possa parlare di ciò che non si conosce, di ciò che non si è vissuto anche soltanto per una volta, di sensazioni che non abbiamo mai provato. Sono altrettanto sicura che si può creare – e lo si può fare anche molto bene – una realtà fatta di mondi sconosciuti e fantasiosi, di personaggi mai esistiti e posti inesplorati ma la magia sarà data dalla capacità di riportare una dimensione di esperienze reali e personali in un mondo inventato. Dal mio punto di vista – per l’appunto – è questa la vera sfida della creazione narrativa.
Inizialmente era solo verde, verde, verde. Quando ero all’università, ho letto su un testo di linguistica che i pigmei hanno moltissimi modi per esprimere il concetto di verde, forse più di venti. Pensavo a quanti modi abbiamo noi per esprimere il verde, in effetti, anche in italiano ce ne sono diversi: verde bosco, verde mela, verde prato, verde salvia, verde militare, verde mare… È per questo che trovo così difficile far capire quale sia esattamente il colore che intendo, quando dico che il verde è il mio colore preferito. Quel giardino però all’inizio era proprio tutto verde. Lo abitavano delle piante piccine appena germogliate di ogni verde esistente. Si presentava così: foglie piccole, vivaci, carnose, fresche di rugiada. Doveva essere proprio così la mia anima di bambina. Pian piano sono sbocciati i fiori delle piante che vi abitavano già, erano di color pastello: primule, violette, roselline, ranuncoli. Poi vi fu un’esplosione di colori vivaci che contemplavano girasoli e gigli di ogni colore. Poi il rosso della passione sembrava dominarlo. Con il trascorrere degli anni, le sfumature di quel giardino, nell’alternarsi delle stagioni, svelavano di voler ricercare un equilibrio, ed lì che ho scelto di piantarvi io, scientemente dei semi. Il mughetto, il gelsomino, la magnolia, fiori bianchi dal profumo dolce, intenso e delicato, insieme ai fiori più vivaci e alle piante che di fiori non ne fanno. Ho raccolto germogli dovunque sono andata, e li ho piantati lì, nell’entusiasmo costante di arricchire quel giardino. Talvolta però i semi non attecchivano, o peggio, delle specie erano nocive per alcuni fiori o piante che vi abitavano già. Insetti buoni sono entrati chiedendo il permesso, grazie a loro sono nati nuovi boccioli. Altri, senza bussare, hanno preso ciò che gli serviva, senza uno scambio, e distrutto senza curarsene. La rugiada di lacrime di gioia, la costanza delle api, l’impegno del rastrello e la cura del cuore lo hanno nutrito, donando piccoli frutti. La pioggia di lacrime di delusione, la grandine dello sconforto e il gelo dell’indifferenza, hanno fatto marcire alcune foglie, complicato il lavoro delle radici e spezzato dei rami. Ma ogni giorno è un giorno nuovo, e il calore del sole, e l’energia del vento sanno rischiarare il cielo. Sono tornata in quel giardino, dopo tanto tempo. Tutto sembrava rimasto com’era, ho ritrovato la giovinezza, la passione e l’entusiasmo. Mi sono accorta che ci sono state stagioni che hanno seccato alcuni arboscelli che avevo piantato e che al tempo, fremevo che germogliassero. Dall’istante in cui avevo piantato alcuni semi, guardavo già al futuro e vedevo sbocciare fiori rigogliosi a ciocche, anche se non avevo idea di quali frutti potessero generare. Quel giorno, mi accorsi che avevano generato pochissime minuscole gemme. Certo, la pianta non era morta, ma non riuscivo proprio a immaginare come sarebbe diventata e se sarebbe mai sbocciata come sognavo. Ho pianto ancora, pensando che forse avevo sbagliato gli innesti, che avrei dovuto sapere cosa farne già da subito, solo così quel giardino avrebbe dato i suoi frutti velocemente, forse avrei dovuto piantare solo i semi delle piante che conoscevo e di cui potevo programmare i frutti. Forse non ero stata abbastanza furba, abbastanza ardita. Eppure ero sicura che continuare a ricercare, ed a imparare, mi avrebbe portato un giorno a dar vita a un giardino che fosse espressione di me con dei fiori unici al mondo. Perché non era così come sognavo? “Ogni cosa a suo tempo” dice mia mamma. “Tutto arriva a chi sa aspettare” dice mia nonna. Poi l’anima, per confortarmi mi mostrò il futuro di quell’arbusto dalle piccole gemme che tanto mi faceva patire: un unico fiore si mostrava in tutta la sua rarità. Le radici ci avevano messo del tempo ad attecchire e per questo erano diventate più forti e robuste, le foglie erano grandi e corpose, i petali si distinguevano per le loro sfumature. Senza dubbio, il mio preferito.
Valentina Faloni
La mia verità è questa: “Raccontare significa esistere.”