Categoria: Media stories
“Al di là dello sguardo” di Andrea Gentile e Lino Arezzo – Corso 2016/2017
“Ogni volta che mi assale il desiderio di viaggiare” di Laura Mariano – Corso 2015/2016
“Ogni volta che mi assale il desiderio di viaggiare”
di Laura Mariano
Ogni volta che mi assale il desiderio di viaggiare, parto.
Di solito non è un luogo, un paese in particolare ad attivare il desiderio, ma “qualcosa” che ho urgenza di vedere.
Tutti i soldi che riesco a racimolare diventano carburante per il mio camper.
A volte penso che sia più bello della mia casa; eppure è solo un vecchio Laika degli anni 90, ma è forte, robusto e temerario.
Anni fa è riuscito a portarmi fin su a Capo Nord, ma non in estate quando tutti i viaggiatori animati dal desiderio della luce continua ci vanno, bensì in pieno inverno quando solo i veri curiosi partono alla volta dell’Aurora Boreale. Ha sfidato tempeste di neve, strade ghiacciate e campeggi chiusi, ma alla fine mi ha condotto alla meta e lì si è rifatto improvvisamente casa offrendomi un giaciglio da cui contemplarLa per tutta la lunghissima notte.
Non sono totalmente squilibrata. Non ho affrontato 11mila chilometri da sola per vedere l’Aurora, riesco quasi sempre a trovare un degno compagno di viaggio che abbia voglia di girovagare con me; anzi, devo essere onesta… Riesco quasi sempre a trovare qualcuno disposto a guidare il mio Laika per esplorare luoghi. Ebbene sì amo viaggiare, ma la verità è che detesto guidare; mi piace percorrere strade sul sedile del passeggero. Da lì tutto ha un’altra dimensione: le strade sono infinite, i piccoli villaggi diventano più interessanti delle grandi città ed ogni abitante diviene il tuo vicino di casa per una sola notte.
In compenso, dicono di me che io sia un ottimo navigatore, mi rifornisco di mappe, atlanti, tanta curiosità e una buona dose di insonnia e accompagno chiunque voglia guidare il mio camper.
Ora, il desiderio di partire mi ha assalito da qualche giorno, ma i miei amici sono tutti a lavoro e di un compagno neanche l’ombra, ma devo partire. Esiste un piccolo paese non lontano da dove vivo di cui ho sentito parlare troppe volte per non esserci ancora stata. Il viaggio non sarà lungo perciò salto da sola sul mio camper e parto per Massafra.
Pasolini aveva scritto negli anni ‘50 durante uno dei suoi sopralluoghi per il cinema: “Massafra sorge su un colle spaccato a metà da un torrente… un breve ponte di pietra è sospeso sul canyon grandioso, aperto… e aldilà del ponte si trova il centro della città, una piazza affollata, verso sera, come in un giorno di festa. E’ una calca di uomini vestiti di nero e ragazzi disegnati col diamante e il carbone. Attorno a questa piazza si aggrovigliano, come visceri, i vicoli e le strade scoscese, attraverso cui si regrediscono fino nel cuore del tempo…”.
E poi ha deciso di sceglierlo come set per il suo Vangelo secondo Matteo assieme a Matera, per lui era la Cafarnao pugliese; ho ancora nella testa quel termine “canyon”, cosa vorrà dire?
Parto.
E’ un caldo pomeriggio d’agosto, il sole picchia diretto sul mio tettuccio e la Statale 100 che collega la costa adriatica a quella jonica non è troppo trafficata, anzi pare quasi deserta.
I Buena Vista Social Club faranno da ottima colonna sonora per questo breve itinerario: i colori non sono così distanti dall’Havana, la gente non è così diversa dai cubani e Wim Wenders è il mio miglior maestro e compagno di viaggio. Tutte le foto che scatto sono inevitabilmente influenzate dal suo sguardo: l’amore per i paesaggi senza personaggi, l’immancabile connubio tra parola scritta e immagine, la passione per le insegne.
Eccola Massafra.
Si trova lì, sopra un dolce cucuzzolo, alle porte di Taranto, prima che svettino le ciminiere dell’ILVA; si sente già l’odore dell’acciaio, il caldo e l’afa ne acuiscono l’essenza.
Percorro una serie di curve a gomito in salita, il mio camper sbuffa, ingrano la prima e arrivo a destinazione.
Ma dove è il canyon?
E le case stratificate?
… Molte case basse intervallate da palazzoni in cemento alti dieci piani, le strade che formano un reticolato geometrico, un finto cardio e un finto decumano, una moderna piazza centrale con l’immancabile aquilotto a rimembrar i Caduti della Prima Guerra Mondiale e poi: bar, pizzerie, tabacchini, TuoDì, Despar, Sidis, Slot Machine, Sin City, Punto Snai.
Silenzio.
Caldo.
Deserto.
Neanche un ragazzo dipinto col carbone…
Allora mi fermo nella piazza principale, entro in un piccolo chiosco che ha ancora qualcosa di romantico, per prendere un caffè e chiedere informazioni. Mentre sorseggio il mio ottimo caffè qualcosa attrae la mia curiosità, un cartoncino blu notte con sopra una scritta in corsivo, recita così: “i viaggi sono i viaggiatori” F. Pessoa, lo volto e leggo con attenzione. Si tratta di un flyer con il programma estivo di un’associazione culturale che organizza proiezioni cinematografiche in una piazza del paese che si chiama Piazza Santi Medici. Il programma è lungo e intenso, è diviso in tre tappe: NEXT STOP – visioni di viaggio, Il cielo sopra i Vicoli e Vicoli Corti; ora che ci penso ne avevo già sentito parlare, è un festival di cortometraggi che vanta diverse edizioni.
Ma oggi che giorno è? C’è qualcosa in programma?
Diamine, per un pelo! Oggi è l’ultima sera di Vicoli Corti…
Chiedo informazioni alla donnona bionda che mi ha servito il caffè che mi spiega che la piazza non è molto distante da lì, ma non ci si arriva in macchina (figuriamoci in camper), mi consiglia dunque di parcheggiare nei dintorni e di scenderci a piedi. Pago e riparto nonostante io sia molto in anticipo rispetto all’orario d’inizio; sarà stato quel verbo “scendere” pronunciato dalla barista a destare la mia curiosità o semplicemente la sensazione che quel flyer potrebbe portarmi fortuna. Con molta fatica riesco a parcheggiare il mio Laika, le strade sono davvero strette e gli abitanti per semplificare il tutto parcheggiano in maniera alquanto selvaggia.
Zaino in spalla, macchina fotografica a tracolla e comincio la discesa. Tutto comincia a tingersi di bianco, i vicoli si fanno sempre più stretti e la voce della gente sempre più alta: dialogano da un balcone all’altro, siedono sui gradini delle loro case, i bambini giocano a strattonarsi.
Ad un tratto alzo lo sguardo e scorgo un lampione decorato con cartelli neri, mi indicano una direzione e recano delle scritte verdi e arancioni:
IO VIAGGIO NON PER ANDARE DA QUALCHE PARTE, MA PER ANDARE.
ALCUNI LUOGHI SONO UN’ENIGMA.
ALTRI UNA SPIEGAZIONE.
Proseguo, altre scale… poco più sotto un altro lampione:
VIAGGIARE SIGNIFICA AGGIUNGERE VITA ALLA VITA.
RACCONTARE STORIE.
CONOSCERE PERSONAGGI.
Ora capisco, che scema! Avrei dovuto intuirlo subito! Il cielo sopra i Vicoli è un chiaro omaggio a Wim Wenders e questi cartelli ne sono la prova eclatante.
Sono eccitata e continuo la discesa.
Oramai il sole è quasi tramontato quando lo strettissimo vicolo si apre in una meravigliosa e candida piazza. Basoli, scale, case, chiese, muretti ogni cosa è bianca e contrasta con il canyon sullo sfondo: un lama di roccia calcarea scavata dalle acque meteoriche. E’ profondo, scosceso, inquietante ma inverdito dalla vegetazione e popolato da cavità, le case rupestri. Sulla parete opposta del canyon, domina la scena un castello medievale, arroccato sul tufo.
Un gruppo di ragazzi trasforma la piazza in una sala cinematografica: proiettori, casse, sedie, cuscini, manifesti… sembrano non fermarsi mai, salgono/scendono, montano/smontano; nelle loro gambe la fatica, nelle loro braccia lo sforzo, ma nei loro occhi è visibile solo la gioia e la soddisfazione di chi mette il proprio tempo al servizio della sua terra. Conosco bene quella sensazione: ti sfianca e ti rimette in circolo la linfa vitale, una non esclude l’altra è incredibile!
Prendo uno spritz, mi metto a sedere sulle lunghissime scale che occupano un lato della piazza e continuo ad osservare gli “asserragliati”; ad un certo punto ho anche pensato di dargli una mano, so bene quanto sia preziosa la collaborazione di qualsiasi volontario, ma so anche un’altra cosa importante: stasera è l’ultima! Da domani tutto sarà finito e sono sicura che ognuno di quei ragazzi sentirà il vuoto e la mancanza di tutto questo, anche della fatica! Quindi mi godo il paesaggio e leggo il programma completo del festival rammaricandomi delle serate precedenti perse.
Nel frattempo gli spettatori cominciano a popolare il cinema all’aperto, tutto è pronto!
E’ sera, alzo gli occhi e Meraviglia!
Le case bianche sono ornate di neon fluorescenti. Su una delle case stratificate nella roccia, la più alta, svetta una struttura geometrica arancione illuminata dalle lampade di wood, si contrappone al forte normanno: è una mongolfiera. Simbolo del festival, regina della serate, illumina il canyon e fa sognare ogni viaggiatore incantato.
Parole verdi, gialle, blu e fucsia e, sulla mia testa un’enorme scritta al neon mi ricorda: i viaggi sono i viaggiatori.
“OTTO – Behind the scenes” di Caterina Appignani, Raffaello Cotti, Viola Giannerini, Paola Edvige Piras, Paola Sorato, Andrea Trono – Corso 2016/2017
OTTO – Behind the scenes
di Caterina Appignani, Raffaello Cotti, Viola Giannerini, Paola Edvige Piras, Paola Sorato, Andrea Trono
Quando penso a qualcosa, quando immagino qualcosa, lo faccio sempre attraverso una sequenza di immagini. Per ognuna di esse individuo colori, inquadrature, movimenti e stacchi. La mia descrizione di un mood o di una sensazione passa sempre attraverso l’elaborazione del fotogramma, di un fermo immagine che in un’unica composizione possa racchiudere tutto, di una colonna sonora che a partire dalla parte più bassa dello stomaco possa convogliare questa vibrazione e dare forma ai pensieri più impalpabili.
Otto è stato un pretesto, la scusa perfetta per poter raccontare un punto di vista, la sensazione di quel momento o semplicemente tutto quello che si era sedimentato in questi mesi.
Il punto di partenza è stata una domanda, la stessa che abbiamo cercato di far emergere dalle immagini. Se non ci fosse una conseguenza per tutto ciò che facciamo? O meglio, se cambiando l’ordine delle cose poi alla fine si giungesse sempre allo stesso risultato? D’altronde anche l’algebra ci viene in aiuto, con uno dei teoremi più elementari di tutti, che abbiamo imparato a conoscere sin dalle prima lezioni di matematica: “cambiando l’ordine degli addendi il risultato non cambia”, la proprietà commutativa.
Cosa succede allora se si prova ad applicare questa proprietà anche ai gesti quotidiani, alla reiterazione delle situazioni, alla ciclicità della giornata?
Non si intende dare un giudizio, e tantomeno una soluzione o la formulazione di un altro teorema, ma solo analizzare questo dubbio e dare forma a uno scenario algebrico.
Otto, ragazzo dal nome palindromo, simmetrico e simbolo di infinito, definisce i suoi tratti attraverso le immagini delle scene e lo sviluppo della sua storia.
“Otto non sapeva perchè i suoi genitori gli avessero dato quel nome, forse era un suo avo, o semplicemente qualcuno che non conosceva. Otto si sentiva intrappolato nella reticente circolarità di quel nome, come se esso si portasse dietro una immodificabile gestualità dal quale non riusciva ad uscire. Viveva solo, ma in quella casa il verde delle pareti anni ‘60 era più ingombrante della sua barba. “
Da questa suggestione nasce il personaggio interprete del nostro racconto visivo. Per poterlo definire, tuttavia, è stato necessario un lungo processo di elaborazione e sviluppo del concept, di scrittura e ricerca visiva, fino a giungere al momento topico della creazione dell’immagine stessa. L’atto più inteso e viscerale, dove tutto si completa e prende forma, si esaurisce con la manipolazione delle sequenze, le stesse capaci di dare vita all’universo impercettibile di Otto.
di Caterina Appignani
Ho voluto immortalare attimi, che adesso saranno lì, e si potranno rivedere fra un po’ di tempo, quando nella memoria resterà solo il corto visibile su un canale Vimeo, le foto saranno lì a ricordarci quanto è stata lunga quella giornata di riprese, quanto ci siamo impegnati e come abbiamo lavorato bene in quella giornata!
In ogni caso, oltre i ricordi che resteranno e la riuscita del nostro corto, OTTO non rappresenterà forse l’inizio del mio roseo futuro da direttore della fotografia ma sono certa abbia funzionato come trampolino di lancio per una lunga e proficua collaborazione con una grande Art Director, si chiama Caterina Appignani e ne sentirete parlare….
di Paola Edvige Piras