Quella mattina il cielo era più azzurro del solito. Non vi erano nubi ad oscurare il sole, né vento a rivelare la propria presenza tra le foglie degli alberi. Il cortile al di là della finestra era sprofondato in un silenzio imbarazzante.
Forse quel giorno sarebbe riuscita ad iniziare il vecchio libro dalla copertina rossa trafugato dallo scaffale della Stanza dei Libri pochi giorni prima.
Lo prese da sotto il cuscino e lo iniziò a sfogliare, assaporando la sensazione delle pagine ruvide sui polpastrelli, l’impercettibile scricchiolio della carta irrigidita dal tempo.
Se la madre l’avesse vista si sarebbe arrabbiata moltissimo. “Sono libri del babbo, libri da grandi, non da bambini” diceva. Ma lei non si sentiva certo una bambina. Da quando le bombe avevano iniziato a piovere sui tetti di Firenze, troppi anni le sembrava si fossero posati sulle sue spalle e solo nella letteratura, in quei libri furtivamente sottratti alla collezione privata del padre, credeva ancora di poter trovare la meraviglia e la bellezza della vita.
Si sedette sulla vecchia poltrona di fronte alla finestra e iniziò a leggere, gettando di tanto in tanto uno sguardo sospettoso a quel placido paesaggio così poco familiare.
Il libro narrava le vicende di Shahrazad, principessa persiana che, prigioniera del perfido re Shahryar, ogni notte soleva intrattenerlo tessendo le trame di una nuova fiaba, il cui filo interrompeva al sorgere dell’alba, per poi riprenderlo la sera seguente. Grazie alla sua astuzia era riuscita a sopravvivere, grazie al suo cuore aveva conquistato l’amore dell’uomo.
Il grande orologio nel salone rintoccava le dodici.
Dodici lenti, poderosi colpi e il pavimento iniziò a vibrare. Shahrazad faceva il suo ingresso nelle stanze del re, lo ammaliava, lo stregava.
Un boato assordante.
Shahrazad iniziava il suo racconto: “C’era una volta un mercante di stoffe..”
Una fitta schiera di aerei squarciò l’orizzonte fino a pochi istanti prima deserto e stormi di bombe iniziarono ad affollare il cielo, a precipitare a grappoli, sempre più vicine.
Una esplose a poche decine di metri dall’abitazione.
Il libro le cadde dalle mani.
“Il babbo, hai visto il babbo?” La voce rotta della madre rivelò la sua presenza nella stanza adiacente. La sentiva correre per i corridoi, serrare le imposte, oscurare le finestre. Edoardo, il padre, era uscito quella mattina per comunicare un messaggio importante ai compagni della Resistenza.
Il cielo era un tumulto di polvere e fiamme. Le bombe al fosforo incendiavano tutto, distruggevano tutto, uccidevano tutto. Tutto ciò che di bello l’uomo avesse potuto creare, egli stesso lo demoliva con quei diabolici ordigni, frutto del male, della perversione mentale, dell’idiozia.
Raccolse il libro, lo strinse al petto, ultimo frammento di bellezza in un mondo abbrutito dalla violenza, dalla volgarità. Il pensiero ancora incatenato a Shahrazad, alle fantasie di un mondo inventato.
“Oriana chiudi le tende, allontanati dalla finestra!”
No, non sarebbe più andata nel seminterrato.
Gli occhi sgranati, le pupille dilatate, ipnotizzate, assetate.
D’un tratto, l’oscurità.
Due macigni sugli occhi.
Due mani ruvide, familiari. Violento, arbitrario istinto di protezione che ama ma non sa, non sa quando sia giusto lasciar andare, vivere, conoscere anche ciò che é male, morte, dolore.
Altre mani, stavolta le sue, si posarono su quelle della madre, a scostarle.
Non era più una bambina.
L’avrebbe guardata in faccia la guerra, l’avrebbe vissuta e l’avrebbe raccontata, affinché tutti sapessero, affinché fossero consapevoli e affinché non vi fosse più nessuno a dovergli coprire gli occhi.
Alessandra Fioretti
ispirato a Oriana Fallaci
Foto: Anna Di Prospero
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