<< Faremo tutto da soli. Io, farò tutto da sola. E come se non fossimo mai esistiti, sparirò dalla tua vita, così che smetterai di negare a te stesso me. Smetterò di inseguire quei pensieri che, come macchine, portano sempre a te e non ci vedremo mai più. Me lo giuro >>.
Le lacrime rigavano il viso e la rabbia, chiusa dentro i pugni stretti sotto il cuscino, la svegliarono violentemente. Era sconvolta e seduta sul letto si prese il tempo per realizzare, che proprio in quello che, probabilmente, sarebbe stato il giorno più importante della sua vita, aveva sognato James. Aveva rivissuto l’ultimo giorno in cui l’aveva visto. Un incubo.
Si alzò di scatto, si precipitò in bagno, come se quella continua nausea di insoddisfazione, che l’aveva accompagnata per anni, fosse tornata. Ma quella mattina era solo nausea da prestazione. Era solo ansia. Ansia che da lì a poche ore l’avrebbe travolta, fino a sparire nell’istante esatto in cui avrebbe posato le mani sul pianoforte. Nell’istante esatto in cui magicamente cessava di essere la ragazza costantemente fuori luogo e fuori tempo, e tornava Alex, solo Alex.
Si lavò il viso, portò i ricci senza direzione, da una parte, con un consueto gesto.
Si specchiò, decidendo che James non avrebbe alterato la sua realtà e la sua concentrazione, non oggi. Si mise un filo di matita, quel poco che risaltasse gli occhi già grandissimi, scuri e si infilò la camicetta azzurra che metteva per ogni audizione. Bevve latte e caffè e poi proseguì con i rituali, fino all’ultimo: la carezza al piano, prima di uscire di casa.
Nonostante il traffico sulla 66 St- Lincoln Center, era alla ‘New York Philarmonic’ con venti minuti di anticipo. Rimase immobile davanti l’entrata per qualche secondo, poi con coraggio entrò.
<< Buongiorno, sono Alexandra Quinn, dovrei sostenere l’audizione per pianoforte, per l’orch..>>.
<< Si, certo, salga al primo piano e sulla destra troverà già qualcuno ad aspettare >>. La donna sorrise, come se avesse scoperto, con tenerezza, l’ansia travestita da calma di Alex.
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Prese le scale e subito dietro l’angolo una decina di persone in attesa del proprio turno. Si isolò da ogni possibile chiacchiera, prese l’ipod e controllando, quasi ossessivamente, la posizione delle cuffiette, se le infilò. Liebesträume, Franz Listz, play. Per ripassare, riascoltare ancora una volta, prima di suonare.
Ti penso così intensamente che mi sembra di averti qui, accanto a me, ad ascoltare musica, sfidandoci a chi sa guardare più in là, oltre la linea dell’orizzonte, seduti in riva al mare. Ti penso così forte che fa male. E penso che mi basterebbe essere per te meno della metà, di quello che sei tu per me.
Mi basterebbe averti un giorno, uno solo, per stare sdraiati nel nostro giardino preferito e recitare quell’opera teatrale che ti piace tanto, per farti capire quanto con niente, insieme, saremmo tutto. Mi basterebbe passare la metà di quel tempo ad osservare le tue mani e a contare i calli che segnano le tue dita, fermi lì, a ricordarti chi sei. Quelle mani e il modo in cui spostano, continuamente, il ciuffo di capelli che ti cade poco sopra le ciglia. Passerei quel giorno ad ascoltarti, senza interromperti se non per baciarti e ricordarti quanto io ti stimi, sempre. Passerei quel giorno ad aprirti gli occhi per farti posare una volta, davvero, lo sguardo su di noi, senza sfuggirgli più. Mi basterebbe averti un giorno e invece non mi hai dato nemmeno quello, mai più. Hai preferito ferirmi, nel punto più debole e andartene senza lasciare niente, se non un odio che non riesco più a sostenere e a capire.
Che la tua musica possa, comunque, essere sempre lì a cercare di renderti migliore, come non sai fare tu. Che ti porti dove vuoi o pensi di voler andare.
Che ti ricordi che è quella la parte di James che non riuscirò mai ad odiare come, profondamente, non riesco a smettere di fare con il resto di te.
Buona fortuna, Alex.
La rilesse, dopo tanto tempo, appena sveglio, come se quella mattina fosse necessario, prima di uscire e andare alle prove.
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<< James, ti ho preparato toast e spremuta!!! >>. Una voce squillante dall’altra parte della casa.
<< Arrivo! >> ripose la lettera nel cassetto, prese lo strumento e andò in cucina.
<< Grazie Annie, sei un angelo e io sono in ritardo, naturalmente >> posando un bacio sulla fronte alla sorella.
<< Lo so. In bocca al lupo per le prime prove! >>. Non fece in tempo a finire la frase che James era già in bicicletta.
Le prove iniziavano alle dieci e per quanto potesse correre in un quarto d’ora non ce l’avrebbe mai fatta. Lungo il tragitto pensò a mille cose: alla scusa che si sarebbe inventato per giustificare il suo ritardo, qualora fosse stato l’ultimo ad entrare in sala; a ripassare la partitura dei pezzi che avrebbero provato per il concerto, ascoltando a ripetizione i brani; a stare concentrato sulla strada che in bicicletta alle nove e mezza del mattino era un suicidio; e a lei. Il suo pensiero era l’unico che lo distraeva dalla guida perché non riusciva a capire come, proprio oggi, fosse così presente nella sua mente, più del solito. Al semaforo rosso si tolse le cuffiette e smise di pensare, si concentrò sulla strada che sicuramente avrebbe sbagliato se avesse continuato in quel vortice, in uno dei suoi innumerevoli flussi di coscienza.
L’orologio dell’entrata, che si scorgeva ogni volta che si aprivano le porte, segnava le dieci e dieci. Un ritardo onesto, pensò, mentre legava la bici con disattenzione, fissando le lancette. Respirò, si ricompose, spostò i capelli ed entrò.
<< Buongiorno Reed >> una voce profonda alle sue spalle.
<< B-b-buongiorno Maestro >> si voltò terrorizzato, pronto ad incassare il primo richiamo del primo giorno di prove, da uno dei più grandi direttori d’orchestra del mondo.
<< Si rilassi, siamo tutti in ritardo, urlerò contro ognuno di voi, per ben altro, oggi>>. Sorrise e proseguì verso il suo studio.
James non sapeva se essere fuori pericolo o esserci appena entrato, ma iniziò ad accelerare il passo verso la sala prove. Ancora non conosceva tutti i musicisti di quella che, presto o tardi, sarebbe diventata la sua seconda casa e una famiglia
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allargata. Era l’ultimo arrivato e il violinista più giovane dell’orchestra, una sorta di cucciolo che andava protetto, teoricamente, ma che divenne ben presto l’agnello da sacrificare.
<< E tu devi essere James Reed, il giovane, piccolo prodigio. Non si fa altro che parlare della tua audizione, raccomandata da? >> rise, mostrando un ghigno beffardo e allo stesso tempo affascinante. James si girò infastidito, trovandosi due occhi glaciali puntati addosso di un ragazzo, sicuramente più grande di lui, dai lineamenti europei, in attesa di poter continuare la sua pièce.
<< Raccomandata dal mio violino >> rispose James, aprendo la custodia dello strumento e dandogli poca soddisfazione.
<< Che sarebbe questo..>> glielo tolse da sotto gli occhi, con fare insolente e lo rigirò come fosse una bottiglia di vino.
<< E questa ‘A’incisa qui dietro, di chi è? Della fidanzatina? >>.
<< Fai sul serio? Davvero un idiota come te fa parte di questa orchestra o sei il pagliaccio del circo accampato qui fuori? >> le orecchie di James si tinsero di bordeaux. La sala iniziava a riempirsi, con l’arrivo degli altri musicisti, i più anziani. << Sono il primo oboe, se sai cosa sia e…>> non fece in tempo a lanciare la stoccata finale quando, con il Maestro, entrò anche un silenzio dirompente.
<< Buongiorno a tutti i presenti, ritardatari cronici, nuovi arrivati, giovani, anziani, americani, tedeschi, francesi, italiani, coreani, arabi e chiunque abbia dimenticato, per mia scarsa memoria o vostra poca personalità. Oggi è il nostro primo giorno di collaborazione e prove per il lungo percorso che ci attende. Come avrete notato, dai programmi che vi ho inviato ieri, avremo bisogno, quest’anno, di un pianista fisso, che si aggiungerà al nostro gruppo, entro domani. Le audizioni termineranno questa sera quindi, per oggi, è probabile che finiremo le nostre prove prima, così da recarmi al primo piano e ascoltare qualche candidato. Dunque, se non ci sono domande, partirei da Mozart, con l’”Eine kleine Nachtmusik”>> .
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<< Buongiorno a tutti…>> una donna uscì dall’aula dove, probabilmente, si sarebbero svolte le audizioni. Alex alzò lo sguardo, spense l’ipod nero che ripose, in un gesto disordinato, nello zaino e si avvicinò.
<< a breve gli insegnanti e il Maestro saranno pronti per farvi entrare, intanto vi invito a riporre le vostre giacche e tutto ciò che non vi occorre nel guardaroba dell’orchestra, in fondo a destra. Grazie >>. Sorrise e richiuse la porta.
<< Respira profondamente, controlla le mani, controlla te stessa e vai >>. Si ripeteva il mantra, mentre prendeva gli spartiti dallo zaino, che lasciò per terra sotto la giacca che aveva appeso affianco a quella di chissà quale musicista. Sorrise, al pensiero che potesse diventare, da lì a pochi giorni, la pianista di tutte quelle giacche appese. Ci sperava e lo voleva con tutto l’amore possibile.
Erano tutti lì, i suoi avversari, quelli da battere nota dopo nota. Erano tutti lì, pronti, spogliati dalle giacche, che ad alcuni aggiungevano qualche anno in più e ad altri ne toglievano qualcuno di troppo. Nessuno proferiva parola e nell’attesa, che sembrava infinita, si poteva ascoltare distintamente una musica, provenire da una sala, che a giudicare dal suono non era molto distante da lì.
Erano passati ben quarantacinque minuti quando di nuovo si aprì la porta: << Vi prego di seguirmi >>. Con ordine entrarono tutti e presero posto sulle poltrone, dietro quello che doveva essere il banco dei giudici. Davanti, situato al centro di un palco che sembrava immenso, un gran coda bianco, splendente. La donna che li fece entrare, iniziò con l’appello poco prima che arrivassero i primi insegnanti.
Sembrava ci fossero tutti, ad eccezione del Maestro, il quale sarebbe arrivato come un deus ex machina durante l’audizione di qualche candidato, indubbiamente sfortunato. << Candidati, siamo pronti per queste nuove audizioni della Philarmonic, che come sapete si sta rinnovando. Inizieremo in ordine alfabetico, per cui, si accomodi la signorina Susan Addison >>.
Si era ufficialmente in gioco e nonostante l’ansia, che non lasciava quasi respirare, Alex riportò la mente all’incubo che l’aveva svegliata bruscamente, quella mattina. Pensò a James e in quale parte del mondo adesso si trovasse, con il suo violino.
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<< No no no, stop. Siete stanchi e metà di voi completamente fuori tempo. Facciamo una pausa, mangiate qualcosa, fra dieci minuti vi rivoglio qui. Concentrati! >> il Maestro pose la bacchetta e uscì dalla sala con aria pensierosa, sottilmente infastidito. << Hey, James, noi prendiamo qualcosa al bar e se facciamo in tempo sbirciamo le audizioni, ti unisci a noi? >>.
<< Si, grazie ragazzi prendo i soldi nello zaino e arrivo!>>. Uscì dalla sala, raggiunse il guardaroba e prese portafoglio e ipod dallo zaino, nel caso avesse avuto tempo di rilassarsi qualche minuto.
Raggiunse i ragazzi, felice di non aver tra i piedi l’oboista che aveva avuto il dispiacere di conoscere la mattina ma, non fece in tempo a pensarlo che lo vide pavoneggiarsi proprio lì, al bar, con gli altri.
<< Ma dai Chris, non ci credo, sei il solito attaccabrighe, a me sembra un tipo tranquillo e capace ed è troppo presto per giudicarlo >>.
<< A me invece sembra solo un coglione >> ribatté, voltandosi verso l’entrata del bar dove James era lì da qualche secondo.
<< Vieni Reed, abbiamo appena preso un panino e stavamo risalendo >> aggiunse l’altro violinista, smorzando i toni.
<< Si, prendo qualcosa e magari vi raggiungo lì>> rispose con fare assente e superficiale come se quel Chris non esistesse. Ordinò un panino e uscì all’aria aperta, sapeva che l’ipod gli sarebbe servito. Decise di ascoltare quella traccia che non sentiva da anni, ormai, ma non fece in tempo a finirla.
<< James stiamo rientrando tutti, le audizioni sono a porte chiuse e il Maestro è già in sala, sbrigati! >>. Corse per le scale e frettolosamente ripose l’ipod nero nello zaino, senza nemmeno guardare.
<< Signor Reed spero che la puntualità non sia il suo più grande pregio! >>.
<< Mi scusi Maestro >> rispose con semplicità.
<< Bene, ricominciamo da dove eravamo rimasti. Non faremo pause da ora in poi, ma finiremo prima, come già detto>>.
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<< Ultimo candidato: Alexandra Quinn >>.
Ed eccolo lì il momento tanto atteso, arrivato alla fine di una giornata consumata dall’ansia. Quei due scalini per arrivare al pianoforte sembravano una scalinata ripidissima e man mano che si avvicinava l’ansia aumentava ed era così forte da sentirla percorrere lungo le ossa delle mani, fino alle punte delle dita. Arrivò in piedi, di fianco allo strumento, lo sfiorò con una mano come se fosse animato. Sistemò il seggiolino alzandolo più degli altri, vista la sua piccola statura e pose le mani sulla tastiera, con una delicatezza infinita. Respirò, buttando fuori tutta l’ansia accumulata. Era pronta fino a quando, poco prima di iniziare entrò nella stanza il Maestro, che aveva finito per oggi, giusto in tempo per almeno un candidato. Prese posto e fece cenno di iniziare, davvero. Non fu mai condizionata così tanto dalla presenza di qualcuno, ad una audizione, concerto o qualunque altro evento. Mai nessuno si era interposto tra lei e il pianoforte suscitandole insicurezza, quella che con sacrificio era riuscita a spezzare, negli anni. Contò fino a cinque, dentro di sé, e a sei decise che quel posto sarebbe stato suo.
Fu l’audizione più lunga di tutte e sicuramente l’unica interrotta della giornata, perché l’unica a cui era presente il Maestro. La fermò a metà della seconda esecuzione chiedendole di respirare e di non farsi sopraffare dall’ansia. Per Alex, quella voce, fu come una doccia fredda, una doccia che le diede la forza di trasformare quelle emozioni in una musicalità che pochi lì dentro erano riusciti ad esprimere o semplicemente ad avere. Era quella la sua caratteristica migliore, come un’innata intonazione e un legame umano con lo strumento.
<< Va bene così, signorina, grazie, nel caso di un esito positivo le verrà comunicato entro stasera>>. La interruppe, o meglio, la svegliò dal mondo e dal sogno che si era creata suonando quel pezzo, proprio quello a lei caro.
Non ci furono commenti, come non accadde per quasi nessun’altro, ma l’essere stata ripresa dal direttore d’orchestra in persona, aveva spento la luce e la speranza con cui Alex aveva varcato quell’aula, poche ore prima.
7
<< Grazie a voi, arrivederci >>. Raccolse gli spartiti e si diresse verso il guardaroba, ormai quasi vuoto. Mise tutto nello zaino, lasciando fuori solo l’ipod, per il tragitto fino a casa.
Ripensò e ripercorse tutte le fasi della giornata e si disse che sarebbe stato un peccato arrivare fin qui, senza restarci. Sarebbe stato un peccato se ancora una volta il destino si fosse messo di mezzo, come già aveva accennato, facendo arrivare il Maestro, proprio al suo turno. E pensò a James, ancora, come se in quella giornata fosse stato lì, a due passi da lei. Pensò in quale città si trovasse, in quale orchestra suonasse, sperando che da qualche parte l’avesse continuato a fare.
Ma i pensieri si interruppero, come un’inchiodata improvvisa, quando il brano in riproduzione era una registrazione che non poteva essere ancora lì. L’aveva accuratamente rimossa, ne era certa, fino a quel momento, quando quel duetto tra piano e violino continuava a riecheggiare nelle sue orecchie. Cambiò traccia il più veloce possibile, per non giungere agli ultimi minuti dove lui avrebbe detto – Beh a parte la pianista, era perfetto no? – e le loro risate si sarebbe intrecciate. Non volle chiedersi perché quella registrazione fosse ancora nel suo ipod, forse si sbagliava, forse non era riuscita mai ad eliminarla davvero. Non volle saperlo, chiuse gli occhi, come se bastasse questo per richiudere la cicatrice.
Era arrivata a casa, finalmente. Spense l’ipod e lo gettò di nuovo nello zaino.
Per oggi non l’avrebbe riacceso, sarebbe stato solo un male, come non lo era stato mai. Si sdraiò sul letto, ancora con la giacca e stravolta si addormentò.
<< Annie sono tornato! >> si chiuse la porta alle spalle e posò le chiavi sul tavolo all’ingresso.
<< Ciao fratellino, come è andata? Voglio sapere tutto, racconta! >> si alzò in piedi sul divano, come una bambina.
<< Tutto bene, il primo giorno è andato >>.
<< Wow, quanto entusiasmo James, non sarà un po’ troppo per il tuo primo giorno di prove in un’orchestra del genere? >> rispose Annie, con tono sarcastico.
8
<< Lo sai come sono fatto. È stato un primo giorno strano >>. Tagliò corto.
<< È successo qualcosa? >>.
<< No, è che, oggi c’erano le audizioni per i pianisti e…>>. Non fece in tempo a finire la frase che sua sorella tuonò con stupore: << c’era Alex? >>.
<< No, certo che no, è solo che quando ho finito le prove mi sono messo ad ascoltare fuori la porta dell’aula dove si svolgevano le audizioni e quel tocco, quel modo di suonare si ecco, per un momento, ho creduto fosse lei >>. Si guardò intorno, come impazzito, Annie gli prese il viso tra le mani e gli schioccò un bacio in fronte.
<< Non sei matto, tra di voi sono successe cose forse anche più assurde, però, lo sai, non può essere lei. In qualche modo l’avresti saputo se fosse qui e poi ci sono tante orchestre per il mondo e a New York, no? >> fece per tranquillizzarlo ma lui non sapeva se volesse davvero esserlo. Non sapeva se, in realtà, sperasse in quella magia, che lei fosse lì. Che fosse quel pianoforte.
<< Già, l’avrei saputo, di certo >> . rispose, in un misto tra ironia e amarezza e si diresse in camera. Si spogliò e si infilò in doccia, senza smettere di pensare a quella musica, senza saper controllare il dissidio che stava tracciando dentro di sé un percorso indefinito. Si infilò una felpa, comoda e pensò di rilassarsi con un po’di musica, prima di andare ad aiutare Annalise con la cena. Frugò nello zaino e tra le tante cose in disordine non riuscì a trovare in un primo momento l’ipod.
<< Dannazione, eppure oggi l’ho riposto dentro, è nero si, ma dovrei vederlo lo stesso! >> parlando da solo, rovesciò l’intero zaino sul letto, divise le cose una per una, quasi compulsivamente, ma niente, del suo ipod non c’era traccia.
<< Giuro che se è stato quell’idiota di Christoph Meyer, me la paga. Nemmeno avesse tre anni! >>. Infuriato, uscì sbattendo la porta della camera e andò in cucina. << Che succede? >>.
<< Niente, senti lasciami stare ok? >>.
<< Ma che problemi hai tu? >> rispose ferita.
<< Scusa, hai ragione è stata una giornata difficile, non trovo il mio ipod ed è…è tutto sbagliato! >> lanciò il coltello, con cui si era appena tagliato, nel lavandino.
9
Erano le sette di sera passate, quando Alex fu svegliata di soprassalto dal suo telefono. In un secondo il cuore le arrivò in gola. Prese il telefono: una chiamata da un numero privato. Pensava di morire, da un momento all’altro, proprio poco prima di rispondere.
<< Si, buonasera, parlo con la signorina Alexandra Quinn? >>. Una voce professionale e gentile, dall’altra parte del telefono.
<< Si, sono io…>>.
<< La chiamo per informarla che da domani sarà lei la pianista che accompagnerà in questo anno la filarmonica di New York. Congratulazioni! >>.
<< Grazie >>. Rispose impietrita.
<< Signorina Quinn mi ha sentita? Inizierà da subito, alle prove di domani mattina. Ore 10, in punto! >>.
<< Si, ho capito. Mi scusi, sa, non me l’aspettavo, mi sono addormentata ecco io…si. Scusi. Allora domani alle 10, prime prove. La ringrazio >>. Non riusciva nemmeno a parlare.
<< Si figuri, buona serata! >> riagganciò gentilmente.
La felicità che la pervase in quel momento non l’aveva mai lontanamente sfiorata. Urlò forte, come se dovesse liberarsene. Saltò dal letto al divano, fino al tavolo della cucina. Si tolse i pantaloni e in un gesto di pura, folle, gioia iniziò a ballare in mutande fuori al balcone del suo appartamento, come se esistesse solo lei.
<< Questa volta ti ho fregato io, mio caro destino. Questa l’ho vinta io! >>.
Si sdraiò sul letto prima del giro delle poche telefonate che doveva fare, per annunciare la notizia e confermare il suo trasferimento e si rese conto che aveva talmente vissuto poco New York che non aveva nessuno con cui andare a festeggiare. Si rattristò per un secondo, giusto il tempo di rendersi conto della telefonata che aveva appena ricevuto. Giusto il tempo per rendersi conto che ce l’aveva fatta, stavolta, che oggi era lei quella a cui la ruota girava bene.
Si ordinò una pizza e prima di andare a letto scese giù a prendersi un gelato. Si sentì in dovere di premiarsi e di festeggiare, nei modi semplici che le piacevano tanto.
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Non riuscì ad addormentarsi subito quella sera e non era, certamente, tutta colpa della pizza o del gelato. Era piena di adrenalina che non riusciva a controllare e conservare per il giorno dopo, per il grande primo giorno. Si alzò continuamente fino a quando accovacciata sul divano si addormentò.
Spalancò gli occhi un minuto esatto prima della sveglia e si diede un pizzico per confermare che fosse tutto vero. Stava per prepararsi e andare a lavoro, perché in fondo era anche quello, più precisamente il lavoro dei suoi sogni.
<< Buongiorno occhiaie, non dubitavo voleste perdervi una giornata memorabile come questa. Che dolci! >> si disse sarcastica allo specchio, spostandosi un riccio troppo ordinato. Si vestì, a modo suo, per stare il più possibile a suo agio. Quindi niente tacchi. Bevve latte e caffè e mangiò un biscotto al cioccolato. Prese lo zaino, che aveva preparato la sera prima, si infilò la giacca di pelle nera, sfiorò il piano e uscì di casa. Era tutto vero.
‘Ho perso il mio ipod nero, ieri, alle prove o vicino al guardaroba. È molto importante per me ritrovarlo, quindi chiunque lo avesse recuperato o visto mi contatti a questo numero: 561 889023. Grazie.
Cordialmente, J. R.’
Erano le dieci spaccate, bussò e prima di finire di leggere il numero sull’annuncio posto sulla porta, il Maestro aprì e l’accolse nella sala prove.
<< Oggi, ci siamo proprio tutti. Lei è Alexandra Quinn e da ieri sera è ufficialmente la nostra pianista >> il maestro si girò verso di lei e vide un pallido viso, due occhi enormi che, dopo un rapido sguardo d’insieme, si erano posati e pietrificati sugli occhi verdi scuro del ragazzo seduto sulla destra, in seconda fila. Lui fece altrettanto, ricambiando con i suoi. Un mare verde in tempesta.
Alex si fece scivolare gli spartiti dalle mani che caddero a terra, con pesantezza. << Ho io il tuo ipod nero >>. Non riuscì a dire altro.
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