Inizialmente era solo verde, verde, verde. Quando ero all’università, ho letto su un testo di linguistica che i pigmei hanno moltissimi modi per esprimere il concetto di verde, forse più di venti. Pensavo a quanti modi abbiamo noi per esprimere il verde, in effetti, anche in italiano ce ne sono diversi: verde bosco, verde mela, verde prato, verde salvia, verde militare, verde mare… È per questo che trovo così difficile far capire quale sia esattamente il colore che intendo, quando dico che il verde è il mio colore preferito. Quel giardino però all’inizio era proprio tutto verde. Lo abitavano delle piante piccine appena germogliate di ogni verde esistente. Si presentava così: foglie piccole, vivaci, carnose, fresche di rugiada. Doveva essere proprio così la mia anima di bambina. Pian piano sono sbocciati i fiori delle piante che vi abitavano già, erano di color pastello: primule, violette, roselline, ranuncoli. Poi vi fu un’esplosione di colori vivaci che contemplavano girasoli e gigli di ogni colore. Poi il rosso della passione sembrava dominarlo. Con il trascorrere degli anni, le sfumature di quel giardino, nell’alternarsi delle stagioni, svelavano di voler ricercare un equilibrio, ed lì che ho scelto di piantarvi io, scientemente dei semi. Il mughetto, il gelsomino, la magnolia, fiori bianchi dal profumo dolce, intenso e delicato, insieme ai fiori più vivaci e alle piante che di fiori non ne fanno. Ho raccolto germogli dovunque sono andata, e li ho piantati lì, nell’entusiasmo costante di arricchire quel giardino. Talvolta però i semi non attecchivano, o peggio, delle specie erano nocive per alcuni fiori o piante che vi abitavano già. Insetti buoni sono entrati chiedendo il permesso, grazie a loro sono nati nuovi boccioli. Altri, senza bussare, hanno preso ciò che gli serviva, senza uno scambio, e distrutto senza curarsene. La rugiada di lacrime di gioia, la costanza delle api, l’impegno del rastrello e la cura del cuore lo hanno nutrito, donando piccoli frutti. La pioggia di lacrime di delusione, la grandine dello sconforto e il gelo dell’indifferenza, hanno fatto marcire alcune foglie, complicato il lavoro delle radici e spezzato dei rami. Ma ogni giorno è un giorno nuovo, e il calore del sole, e l’energia del vento sanno rischiarare il cielo. Sono tornata in quel giardino, dopo tanto tempo. Tutto sembrava rimasto com’era, ho ritrovato la giovinezza, la passione e l’entusiasmo. Mi sono accorta che ci sono state stagioni che hanno seccato alcuni arboscelli che avevo piantato e che al tempo, fremevo che germogliassero. Dall’istante in cui avevo piantato alcuni semi, guardavo già al futuro e vedevo sbocciare fiori rigogliosi a ciocche, anche se non avevo idea di quali frutti potessero generare. Quel giorno, mi accorsi che avevano generato pochissime minuscole gemme. Certo, la pianta non era morta, ma non riuscivo proprio a immaginare come sarebbe diventata e se sarebbe mai sbocciata come sognavo. Ho pianto ancora, pensando che forse avevo sbagliato gli innesti, che avrei dovuto sapere cosa farne già da subito, solo così quel giardino avrebbe dato i suoi frutti velocemente, forse avrei dovuto piantare solo i semi delle piante che conoscevo e di cui potevo programmare i frutti. Forse non ero stata abbastanza furba, abbastanza ardita. Eppure ero sicura che continuare a ricercare, ed a imparare, mi avrebbe portato un giorno a dar vita a un giardino che fosse espressione di me con dei fiori unici al mondo. Perché non era così come sognavo? “Ogni cosa a suo tempo” dice mia mamma. “Tutto arriva a chi sa aspettare” dice mia nonna. Poi l’anima, per confortarmi mi mostrò il futuro di quell’arbusto dalle piccole gemme che tanto mi faceva patire: un unico fiore si mostrava in tutta la sua rarità. Le radici ci avevano messo del tempo ad attecchire e per questo erano diventate più forti e robuste, le foglie erano grandi e corpose, i petali si distinguevano per le loro sfumature. Senza dubbio, il mio preferito.
Valentina Faloni